Compiti sì – Compiti no, ovvero, ma le maestre se ne accorgono, che a colorare sono i genitori?

Giornata tranquilla sotto l’ombrellone ieri (finalmente…) e le chiacchiere da spiaggia vertono spesso e volentieri sulla scuola, e soprattutto sulla scuola primaria, per i genitori di quei bambini che magari hanno fatto la prima, oppure per quelli che magari proprio lo scorso settembre hanno intrapreso una nuova avventura scolastica, per un motivo o per un altro.

Tra una chiacchiera e l’altra, viene fuori il discorso sui compiti per casa. In Italia la lezione è sacra (cosa che in altri paesi europei è stata da tempo messa in discussione) e, soprattutto per i bambini che non frequentano il tempo pieno, è il primo vero scoglio. Ed è lì che viene fuori:

  1. che quasi tutti i genitori, la sera dopo cena si ritrovano a colorare le schede che i bambini (volenti o nolenti) hanno completato, ma che i genitori non hanno cuore di fargli anche colorare dopo aver passato un paio d’ore con loro a fargli fare quelle benedette schede 
  2. che in tutte le classi, invariabilmente, ci sono bambini che la lezione non la fanno MAI

Ed è lì che viene il dubbio: dare la lezione per casa è un atto democratico?

Sì perché, questi bambini che la lezione non la fanno mai, o sono particolarmente intelligenti, e allora non ci sono grossi problemi, oppure, magari, vengono da situazioni di svantaggio sociale o linguistico (famiglie in cui i genitori non possono seguirli e nemmeno possono permettersi di pagare qualcuno per farlo, famiglie in cui il livello linguistico dei genitori non è tale da permettere loro di aiutare i figli nei compiti, o più semplicemente famiglie che provengono da una cultura in cui fare i compiti non è contemplato o non è considerato una cosa importante) e già dalla classe prima della scuola primaria inizia a scavarsi un fossato che li espelle, di fatto, dal sistema formativo, o se vogliamo essere più ottimisti, li marginalizza.

Di questi problemi in Francia se ne parla in Parlamento, in Italia solo in poche situazioni si cercano soluzioni per cambiare le modalità di insegnamento / apprendimento, in modo da fare sì che la scuola sia il luogo dove i fossati si colmano, e non si scavano.

E questo, come ci ha fatto notare anche Lucia in un suo recente post, è il vero problema di cui ragionare quando si propone di passare alla Flipped Classroom.

E alla fine, a me rimane sempre il dubbio: ma le maestre lo sanno che a colorare sono i genitori?

Più di tutto, insegnare a non avere paura

Spesso torna la domanda nel villaggio, a cosa serve imparare questo? a cosa serve imparare quest’altro? Penso che serva soprattutto a imparare a non avere paura. A cosa mi è servito imparare quei due tre codici di html che oramai so usare abbastanza bene (il grassetto, il corsivo, l’inserimento di un link, ecc.)? Soprattutto a non avere paura dell’html, che prima di questo corso mi era totalmente sconosciuto. Me ne sono accorta stasera quando volevo inserire un piccolo sondaggio (poll) nel blog di classe del mio progetto Comenius “IT competence in promoting our regions”. Blogger mi dava l’opportunità di mettere il widget del poll nella colonna di destra, ma a me non piaceva perché si leggeva male a causa dello sfondo scuro. Ma non trovavo il modo di inserirlo direttamente in un post. Allora ho digitato le seguenti parole nel motore di ricerca: EMBEDDING A POLL INTO A BLOGGER POST; e sono arrivata a questa pagina; che mi ha spiegato come fare! Non sapevo che per vedere la sorgente di una pagina web ci fosse un comando nel browser che utilizzo, Chrome. E soprattutto è stato molto divertente trovare i codici del mio widget, copiarli e incollarli dentro un post (anzi, dentro due post, dato che le domande erano due). Ecco il risultato!
Grazie al mitico prof e ai suoi collaboratori smanettoni, non ci sarei mai arrivata senza di voi!
Ovviamente, insegnare ai propri studenti a non avere paura è una cosa fondamentale soprattutto se siete (come me) insegnanti di lingua straniera. Per non creare studenti, che, come accadeva spesso in passato, sapevano benissimo la grammatica ma non spiccicavano parola, bisogna soprattutto insegnare loro a buttarsi, non avere paura di sbagliare (e questo vale in molti altri settori, non esclusivamente nell’ambito delle lingue straniere).

Great teachers are great learners

Nemmeno io posso fare a meno di ripubblicare questo bellissimo video, se solo anche in Italia prima o poi si capisse l’importanza di investire sul capitale umano, nella scuola! E invece, solo alcuni mesi fa, ci siamo ritrovati con un Ministro dell’Istruzione che diceva che con gli insegnanti bisogna usare “il bastone e la carota” (che onta! non riesco a dimenticarlo!), e diciamocelo, negli ultimi anni i nostri ministri dell’istruzione hanno sempre dedicato il loro tempo a mortificare la scuola, sottraendole risorse, come se dipendessero direttamente dal Ministero dell’Economia e non avessero minimamente a cuore la qualità della scuola pubblica (perché i finanziamenti per quella privata, ahimè, non sono mancati).

giorgiomici

 

Ripreso da una segnalazione tratta dal “marasma” RSSOwl, ho perduto per strada l’autore del post e me ne scuso.
Non posso, però, fare a meno di ripubblicarlo, perché ispirato e davvero molto ben realizzato.
Creato dall’ Australian Institute for Teaching and School Leadership, misura soprattutto la distanza abissale tra ciò che potrebbe essere (e per alcuni è) il lavoro di insegnante e la realtà quotidiana nella quale si vive.
Non so voi…

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